Interviste

Published on Marzo 31st, 2021 |   Luca Cadez

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Aquileia d’Egitto

Intervista a Claudia Giordani, autrice del libro “Il cristianesimo egiziano di Aquileia”

di Dario Stasi

Claudia Giordani

Libri, saggi, riviste: su Aquileia esistono migliaia di pubblicazioni, articoli, guide; di storici, archeologi, studiosi ai vari livelli. Tutti sono d’accordo, Aquileia è stata una città romana importante, grande, prospera, una culla del nascente cristianesimo, famosa poi per la sua distruzione da parte degli Unni di Attila. Tutti d’accordo.

Ma da alcuni anni voci nuove hanno cominciato a scrivere un’altra storia di Aquileia, da altri punti di vista rispetto a quelli già noti. Voci nuove locali, friulane, come quelle di Renato Jacumin, Gilberto Pressacco, Gabriele Pellizzari e diverse altre. Questi studiosi hanno raccolto e valorizzato uno scritto a suo tempo pubblicato da monsignor Guglielmo Biasutti (singolare figura di studioso e bibliotecario dell’Arcivercovado di Udine) in cui viene messa in evidenza la forte presenza ad Aquileia  del cristianesimo e della cultura del vicino Oriente, veicolati soprattutto attraverso gli intensi rapporti commerciali fra Alessandria d’Egitto e la città romana sull’Alto Adriatico (Alessandrinità della chiesa aquileiese primitiva, 1965). Ora un’altra studiosa, Claudia Giordani, questa volta non friulana ma di Bologna, ha da poco pubblicato un libro dal titolo Il cristianesimo egiziano di Aquileia (Gaspari editore, 2020) che va ad arricchire questo filone di studi. L’ho intervistata ad Aquileia, seduti in un caffè all’ombra del campanile di Popone, entrambi con le mascherine, in quest’anno segnato dalla pandemia.

Veduta aerea di Aquileia

 

Prima di tutto le chiedo: quando e perchè si è avvicinata ad Aquileia e alla sua storia?

Io di mestiere faccio la funzionaria museale a Bologna. Mi sono occupata di progettazione didattica e divulgazione scientifica con particolare attenzione all’evoluzione delle teorie cosmologiche dall’antichità ad oggi. Nelle mie ricerche mi sono imbattuta nei libri di Renato Jacumin. Era il 2010. Quando nel 2012 ho deciso di contattarlo era troppo tardi. Ho trovato la notizia della sua morte su un quotidiano on line. Per me fu un colpo e un gran dispiacere. Ma poi mi so no convinta a continuare, ad andare più a fondo e verificare la plausibilità delle sue ipotesi.

 

E quindi è venuta ad Aquileia?

Non subito. Prima, nel 2016, ad una conferenza su questi temi che tenevo al mio museo di Bologna ho conosciuto Alviano Scarel, ex sindaco e studioso di Aquileia. Quando l’anno successivo ci siamo rivisti ad Aquileia ho pensato che per terminare in maniera adeguata il mio lavoro avrei dovuto trasferirmi qui. E così ho fatto appena ne ho avuto la possibilità, commettendo un discreto azzardo in quanto sto continuando a lavorare a Bologna: è più facile cambiar casa che lavoro di questi tempi. E’ stato poi grazie ai coniugi Scarel che sono entrata in contatto con gli amici del Gruppo Archeologico Aquileiese, i quali mi hanno aiutato non poco ad ambientarmi in questa bellissima regione, che conoscevo poco.

L’antica Alessandria d’Egitto. Oggi è una metropoli con 5 milioni di abitanti

 

Che cosa l’ha colpita di Aquileia e del Friuli?

Mi ha colpito notare che le idee di Jacumin e di Pressacco potrebbero in qualche modo essere un riflesso di quella particolare modalità di vivere la spiritualità, e se vogliamo la fede, che potrebbe anche avere origine dai profondi legami che la cristianità aquileiese dei primi secoli asseriva di serbare con le comunità d’Oriente. Chissà…      

Io ho letto il suo libro con interesse e l’ho apprezzato molto. Il tema che ha scelto, la lettura “gnostica” dei mosaici dell’aula Nord della Basilica, è piuttosto complicato e controverso. Ma le argomentazioni da lei proposte sono di grande fascino. Sembra una materia specialistica e qualche lettore potrebbe provare disinteresse o noia. Ma, da non specialista quale sono, assicuro il lettore dubbioso che non è così e che, invece, proseguendo nella conoscenza di queste storie potrebbe, come è successo a me, entrare in un mondo pieno di misteri e di sorprese, di questa grande città antica oggi letteralmente scomparsa, giunta a noi trasformata in un piccolo paese di campagna…

 

…Di certo la fine di Aquileia accompagna il tramonto dell’impero romano: saltano i collegamenti regolari con il Medio Oriente, salta la posizione strategica e geopolitica. Salta in poche parole tutto il sistema che aveva permesso a questa città di continuare a essere la grande metropoli che era diventata. Le invasioni, i confini il devastante calo demografico, l’incuria che ne è seguita hanno poi inciso non poco sullo stato del territorio circostante.

 E’ strano. Si parla sempre di metropoli ma qui intorno di quella metropoli si vede ben poco…

Basilica di Aquileia, mosaici nella cripta degli scavi, a destra le fondamenta del campanile

 

Aquileia era nata piccola e da un certo punto di vista piccola è tornata ad essere. Ma con una differenza. Il tempo non scorre invano in nessun luogo e in nessun’anima. E anche se non restano muri e alzati, la storia ha comunque lasciato segni indelebili sopra e sotto la terra. La loro progressiva riscoperta da un secolo e mezzo a questa parte forse non contribuirà a restituire ad Aquileia la dimensione di una grande città dal paese che è ora,  di certo però può contribuire a restituire ai suoi abitanti una parte sostanziale oltre che fondante della loro identità e all’Europa e al bacino del Mediterraneo una parte vitale della loro storia.

Nel suo libro lei si occupa dei mosaici della basilica di Aquileia, uno dei luoghi e dei temi più importanti dell’Aquileia romana e cristiana.

Da quando questi mosaici sono stati riscoperti, nel 1909, si è subito capito il valore straordinario di questo ritrovamento. Oggi chi entra nella basilica rimane colpito dalla bellezza di questa grande pavimentazione musiva. Molti studiosi si sono dedicati allo studio di questa, corrispondente al pavimento della cosiddetta “aula Sud” dell’antica domus ecclesiae.

Basilica di Aquileia, cripta degli scavi, mosaico del caprone bardato con basto. corno e bastone da pastore.

 

Ma lei ha studiato i mosaici dell’aula Nord.

Certo. Un diverso destino è invece stato riservato ai mosaici dell’Aula Nord. Che non sono immediatamente raggiungibili dal turista perché parte dell’attuale Cripta degli Scavi. Modificati più volte, semidistrutti successivamente dalle fondamenta del campanile costruito dal patriarca Popone nell’XI secolo, ciò che resta di questi mosaici è comunque stupefacente. Sia per la loro bellezza, per i colori smaglianti ma soprattutto per la simbologia misteriosa. Questi mosaici sono stati oggetto delle intuizioni del prof. Jacumin. Di essi mi occupo anch’io in questo mio libro.

Questi mosaici sono davvero strani (esempio: il gambero sull’albero. il caprone bardato con basto, corno e bastone da pastore, i funghi, le chiocciole…), enigmatici, inspiegabili fino a non molto tempo fa, quando il prof Renato Jacumin, aquileiese, appassionato di storia locale, con una serie di scritti basati anche su nuove scoperte archeologiche ha avanzato l’ipotesi di un’origine egiziana, gnostica, di quei mosaici. Questa sua intuizione ha provocato molte discussioni nel mondo accademico e forti resistenze in certi ambienti religiosi.

Ho apprezzato il suo nuovo libro anche per il coraggio intellettuale che dimostra nell’affrontare questa materia così  controversa e divisiva.

Faccio le mie ricerche, il mio lavoro. Penso che un certo tipo di lettura della storia e di conseguenza certe modalità di ricerca siano passati semplicemente perché non danno più frutti, perché ci si ostina a voler privilegiare solo determinate fonti. Questo oltre a non portare a niente e a non fare progredire la ricerca non gioca a favore della credibilità della ricerca stessa. Per quanto riguarda lo studio di questi mosaici aquileiesi penso che ci si stia rendendo conto della necessità di un salto metodologico. Dico questo soprattutto a fronte del sostanziale stallo nella ricerca accademica da quasi trent’anni a questa parte. Se vogliamo avanzare nello studio e nella comprensione di quei mosaici e nella conoscenza delle comunità che li hanno commissionati non possiamo delimitare il campo di indagine ad ambiti archeologici, storico artistici o storico ecclesiastici.

Basilica di Aquileia. i mosaici nella cripta degli scavi, a destra le fondamenta del campanile

 

Bisogna andare oltre?

Sì, bisogna interrogarci seriamente sul peso esercitato dal contesto culturale in cui si sono sviluppate le diverse correnti protocristiane.

 In che senso?

Nel senso che ormai si è mondialmente riconosciuto che per quanto riguarda i primi due o tre secoli della storia cristiana è senz’altro più corretto parlare di cristianesimi che non di cristianesimo. L’idea che il cristianesimo sia nato e si sia fin da subito contraddistinto come un movimento definito da una corrente ortodossa contornata da vari movimenti eretici non ha alcun fondamento scientifico.

 

E come si dovrebbe innovare?

Incrociando le fonti e le discipline. Le testimonianze dei padri della chiesa e degli eresiologi dei primi secoli non bastano più, vanno affiancate ad altre fonti come le voci di contemporanei “pagani” o alle indicazioni di non poco conto che possiamo rinvenire su materiali come gemme o papiri magici. E cruciale, nel nostro caso risulta, l’analisi degli scritti in copto della biblioteca gnostica scoperta nel 1945 a Nag Hammadi in Egitto.

Bisogna ricollocare le diverse comunità cristiane nei rispettivi contesti, contesti che hanno inevitabilmente e variamente modellato i cristianesimi che in essi e con essi andavano nascendo e sviluppando.

 

Così anche ad Aquileia?

E’ molto facile o probabile che la comunità cristiana di Aquileia al tempo, agli inizi, fosse composta di orientali parlanti principalmente greco e altre lingue diffuse nel vicino oriente dell’impero romano.

 

Un altro studioso “offside”, don Gilberto Pressacco, amico di Jacumin, ha scritto una gran quantità di saggi e articoli (“L’arc di San Marc”) sul cristianesimo delle origini ad Aquileia. Le sue ricerche sono poi state riassunte in un libro intervista dal titolo “Viaggio nella notte della chiesa di Aquileia” (Paluzzano-Pressacco. Gaspari editore). Un libro davvero coinvolgente per passione, competenza e per le ricerche che hanno portato l’autore in Egitto, ad Alessandria, sulle tracce dei Terapeuti.

Ma quando nel corso di una sua conferenza ad Aquileia le ho chiesto un parere sulle idee di Pressacco mi è parsa un po’ scettica. 

Basilica di Aquileia, cripta degli scavi, mosaico con il gambero su un albero (sopra, una torpadine)

 

Non mi definirei scettica ma cauta. Considero molto affascinanti le idee di Pressacco, le sue ricerche. Ma a differenza di Jacumin, che si avvale fra l’altro di fonti scritte coeve per leggere i mosaici dell’aula Nord, le basi su cui Pressacco opera i suoi collegamenti sono esclusivamente indiziarie.

 Eppure  Pressacco cita tale Maria Lissandrina (“Alessandrina”, processata dall’Inquisizione) che a Palazzolo dello Stella nel 1600 guida i contadini friulani la notte di Pentecoste in un canto propiziatorio a due cori con modalità molto simili a quelle dei Terapeuti, una comunità di religiosi giudaici operanti nei dintorni di Alessandria d’Egitto.

 

Un canto accostato alla stessa tipologia di cori con cui la profetessa Miriam celebra  la traversata del Mar Rosso e la vittoria sull’esercito egiziano….  Ma quei 1600 anni che separano Maria Lissandrina dai Terapeuti alessandrini pesano. Le ipotesi di Pressacco sono senza dubbio affascinanti, intriganti, ma allo stato attuale sono come contenitori vuoti in attesa di essere riempiti.

 Ho fatto soltanto l’esempio della Maria Lissandrina ma leggendo gli scritti di Pressacco ci si imbatte in innumerevoli e sorprendenti collegamenti, tutti plausibili.

 

L’idea di connettere fatti e contesti così lontani nel tempo (ancor più che nello spazio) è coraggiosa. I saggi scritti da Pressacco sono ricchi di proposte volte a gettare, tra il mondo antico e gli inizi dell’età moderna, arditi ponti i cui piloni sono principalmente dati dalla robusta resistenza delle antiche tradizioni che si è riscontrata fino a tempi recenti negli ambienti rurali non urbanizzati del Friuli.

 Io credo che questa sua osservazione sulla cultura e sulle tradizioni rurali friulane sia un campo d’indagini di grande importanza spesso non dovutamente considerato. In questo senso le intuizioni di Pressacco, dello stesso Jacumin o le ricerche e i libri di uno storico come Carlo Ginzburg e di altri possono ridisegnare un’immagine del Friuli molto diversa da come si è soliti considerare questa regione.

Ripeto. Le ipotesi di Pressacco sono coinvolgenti anche se bisognerebbe riesaminare diversi assunti. Ma come pensa lei, forse siamo solo molto indietro nella ricerca di questi tracciati, o forse troppa erba e sterpaglie, durante i secoli, li hanno ricoperti.


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