Editoriale

Published on Ottobre 9th, 2022 |   Agostino Colla

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Il PD perde il pelo ma non il vizio

Dario Ledri

Surreale il dibattito il vista del prossimo congresso del PD: una pletora di candidati segretari, ciascuno in rappresentanza di un’area del partito in omaggio alla guerra per bande tra correnti che dal contesto nazionale scende giù giu sino ai circoli territoriali; una assurda discussione sul cambio di nome al partito (ancora una volta!); un aspro  e tumultuoso confronto sulle alleanze: con i 5Stelle di Conte o con il “terzo polo” di Calenda e Renzi? Enrico Letta viene accusato di aver portato il partito alla sconfitta perché non ha saputo aggregare un “campo largo”, ma anche di non aver saputo scegliere tra 5Stelle e “polo riformista”. Ma a ben vedere Letta e il Pd hanno perso per il semplice motivo che non potevano vincere contro una destra che aveva colto appieno – e fin dal primo momento – la necessità di una alleanza elettorale che il centrosinistra invece non ha saputo – anzi, voluto – perseguire con caparbia testardaggine da parte di Conte , con una azione autonoma tesa a recuperare i consensi perduti – e di Carlo Calenda immortalato nel “bacio di Giuda”  per poi allearsi con Renzi.

Ma la vera questione per il Pd, quella che viene costantemente elusa, il nodo gordiano che il partito deve sciogliere, è quella della sua collocazione sociale. Quali le istanze, gli interessi, i bisogni a cui si vuol dare rappresentanza e nell’interesse dei quali costituire una difesa. E allora occorre coniugare con realismo “diritti civili” (ius scholae, diritti delle minoranze, legge sul fine vita difesa intransigente sulla legge sull’aborto) e  “diritti sociali” (diritto al lavoro e, sui luoghi di lavoro, “diritto alla vita” a fronte di 1221 “morti bianche” nel 2021), riduzione drastica del precariato e dei contratti a termine, salario minimo, difesa del reddito di cittadinanza contrastandone gli abusi (a Renzi e Calenda “riformisti autonominati” occorre ricordare che esistono anche i falsi invalidi ma non per questo si devono cancellare le pensioni di invalidità), difesa – anzi, rafforzamento – della sanità e della istruzione pubblica e, oggi più che mai, contrasto durissimo all’evasione fiscale che agli Italiani costa 100 miliardi annui.          

Dunque, quali priorità assegnare al dibattito congressuale: il cambio del nome, l’avvio di una “nuova fase costituente” (sic), lo scontro tra correnti (Bonaccini o Schlein, o forse Provenzano?), la scelta delle alleanze (Conte o il duo Calenda/Renzi) ovvero l’individuazione e la scelta dei propri storici riferimenti sociali: le classi meno abbienti, il mondo del lavoro (anche intellettuale), i giovani (e intendo anche la loro presenza e valorizzazione  – sulla base delle competenze – nel partito), le ineludibili questioni ambientali?

A mio avviso sono queste che questioni che il Pd deve affrontare una volta per tutte (e ce lo siamo detti fin troppe volte negli ultimi anni): quale collocazione assumere, quali le classi che si vogliono rappresentare e le istanze che a cui si vuole dar voce e che si vogliono difendere. Insomma, un partito plurale in rappresentanza di una società complessa ovvero un partito dei “ceti medi riflessivi” residenti per lo più nelle Ztl.

E io credo che le due cose non siano incompatibili.


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